La riflessione sarebbe di per sè sufficiente ed esaustiva, lasciando ampio spazio alla riflessione interiore, quel dialogo interno di cui parla Hanna Arendt, per essere in accordo e disaccordo con il proprio sè, nei diversi gradi di consapevolezza della propria dimensione di ascolto interno.
Molti di noi glorificano con parentesi importanti gli spazi-tempo del dialogo interiore, alla ricerca di una coerenza interna (ambizione faticosa e spesso limitante), o quantomeno di una accettabile direzione possibilmente in linea con l’immagine di sè compatibile con il proprio ideale.
Così sottoponiamo le nostre azioni, le nostre scelte e i nostri pensieri a filtri superegoici o letture dei possibili significati, per ritrovare quello senso di interezza e congruenza che ci fa sentire al posto giusto, in una rapida sociometria interiore tra posizioni reali e desiderata. Da questi continui ricollocamenti si aprono enormi squarci di dubbio e incertezza, ma fortunatamente anche utili riposizionamenti, scelte e orientamenti personali e professionali.
Diceva Oscar Wilde “La coerenza è l’ultimo rifugio di chi è privo di fantasia”, ma proprio in quella continua ricerca di allineamento di sè, nel dialogo interiore del nostro ‘due-in-uno’, diamo un senso al nostro quortidiano agire e pensare, parlare, incontrare le persone e le scelte.
La donna è mobile… e l’uomo pure aggiungerei, se possiamo concedere a noi stessi di cambiare idea e posizione, pur restando fedeli al nostro senso di unità nel perenne dialogo solitario di crescita e consapevolezza.
Siamo proprio, a quanto pare, intrisi di conflittualità, attraverso veicoli di intermediazione del messaggio sempre più frammentati e discontinui. Ci accontentiamo di raccogliere stralci di informazioni e messaggi, per intraprendere battaglie linguistiche (nella migliore delle ipotesi) su fronti di schieramento di cui sentirci parte e paladini più o meno consapevolmente.
Spesso la nostra capacità di ‘ascoltare’ il messaggio-contenuto è secondaria rispetto al riconoscimento della fonte o della posizione da cui proviene.
Così (ahi quanto la storia si ripete inesorabilmente!), siamo più preoccupati della posizione del nostro interlocutore-antagonista, che del suo reale pensiero e messaggio (quando c’è!).
Le distanze sono aumentate, non solo perchè impossibilitati ad incontrarci di persona, autenticamente e dinamicamente, ma anche perchè siamo sempre meno disposti a mettere ‘sul piatto’ del dialogo i nostri pensieri ed emozioni, in posizione difensiva, spesso protesa alla vittoria piuttosto che al confronto e all’eventuale e pericolosissimo cambio di posizione. Rivedere i propri pensieri e cambiare idea è qualcosa di dinamico, possibile (per quanto difficile) solo attraverso l’evoluzione nella relazione dinamica. Come possiamo cambiare idea se difficilmente incontriamo gli altri come individui, piuttosto che come ‘rappresentanti’ di una posizione/pensiero socialmente identificata?
E non è una cosa seria cercare di capire perchè i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente? Non è importante la guerra tra le pecore e i fiori? Non è più serio e più importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio pianeta, e che una piccola pecora può distruggere in un colpo, così un mattino, senza rendersi conto di quello che fa, non è importante questo!?
Il piccolo principe
Sono semplificazioni. Chiaramente provocatorie, ma ascoltando tra le righe dei nostri quotidiani dialoghi e scambi con le persone, ci accorgiamo del modo in cui affrontiamo l’incontro? Ci rendiamo conto se veramente l’ascolto si pone come condizione dinamica di un’assunzione di responsabilità di ascolto autentico di sé, quanto della sua potenziale indeterminatezza e incoerenza?
La scuola è il primo vero grande contesto in cui l’individuo si sperimenta come essere individuato, in una dimensione comunitaria di persone con ruoli e gerarchie differenti.
I vari ruoli sociali agenti nella comunità-scuola hanno a loro volta aspettative implicite ed esplicite sugli altri attori convolti nel processo educativo…e culturale.
Ecco un’ipotesi di rappresentazione sociometrica delle reciproche aspettative implicite:
Genitori, insegnanti e alunni hanno reciproche aspettative implicite
Emerge qui la non corrispondenza tra le diverse aspettative, dovuta ad una comunicazione talvolta parziale sul piano educativo, oltre che didattico. Molte scuole consolidano il rapporto famiglie-scuola-alunni con il Patto Formativo, firmato a tre mani ad inizio d’anno, ma sappiamo che si tratta di un accordo unidirezionale, in cui non è stato possibile esplicitare in modo circolare aspettative e vincoli, dando uguale spazio di parola e pensiero a tutti gli ‘attori’ in gioco.
Nella nostra società, pregna di comunicazioni trasversali e complesse, tutti gli attori hanno teoricamente pari diritto e spazio di parola, alimentando attraverso i media-social dinamiche in cui può accadere di rimbalzarsi reciproche responsabilità e ‘funzioni’ di ruolo. Ne consegue che si perde di vista il ‘chi fa cosa’?
Allora ecco perchè parlare di responsabilità oggi?
Perchè le modalità comunicative e organizzative del tempo attuale consentono di svicolare in modo semplice e naturale dalle responsabilità individuali per una serie di ragioni.
In parte perchè il mondo social veicola modalità anonime quanto egocentriche di esaltazione della soggettività, ma senza troppo implicare le persone/cittadini in un reale sforzo di azioni significative per la collettività, responsabili e riconoscibili ai fini di un’evoluzione culturale della Comunità di appartenenza.
In parte perchè ci stiamo facilmente abituando ad una modalità soft di partecipazione all’esperienza reale, in cui è sufficiente cliccare “partecipo” per darci l’illusione di essere realmente parte di un avvenimento, così come è facile decidere di non partecipare ad un impegno preso, in virtù di una percezione della propria presenza come accessoria, non fondamentale, ulteriore a quella di molti altri, altrettanto anonimamente non essenziali.
Sto ovviamente estremizzando…ma neanche tanto!
Accade così che i luoghi che da sempre detenevano un ruolo centrale nella formazione dell’individuo, ai fini di un sempre crescente coinvolgimento del futuro adulto nel processo trasformativo dei luoghi di vita e lavoro, perde spessore e accompagna quel senso di transitorietà delle persone nei luoghi importanti dell’esistenza, tra cui la scuola.
E proprio come gli studenti non avvertono il potere culturale della scuola, come luogo di crescita formativa personale, prima ancora che come luogo di sviluppo di competenze tecniche ad uso del futuro ‘lavoratore’, ugualmente gli insegnanti si sentono ‘depotenziati’ nel valore scientifico e culturale che dovrebbero o potrebbero trasmettere ai giovani alberelli ancora acerbi.
Più che mai al tempo attuale di transitorietà delle esperienze, in luoghi molto spesso fruibili con ‘modalità leggere’ di appartenenza e partecipazione, la scuola detiene un ruolo centrale come agente educante sul piano non solo didattico e culturale, ma anchee soprattutto sociale e umano, perchè proprio dentro la scuola si giocano e si agiscono i meccanismi relazionali che preparano i futuri cittadini ad una visione del mondo poliedrica e multiculturale, che ci piaccia o no, portatrice di saperi complessi e integrati.
Agli insegnanti l’arduo compito di mescolare gli ingredienti saporiti e coraggiosi di questa preziosa ricetta!
Il bullismo è uno degli argomenti sulla bocca di tutti. Se ne parla, fa paura, si tocca con mano quando i nostri figli o qualcuno a noi vicino vive un’esperienza diretta…sulla propria pelle.
In genere siamo portati ad immaginare che le persone toccate dal bullismo abbiano caratteristiche particolari, riconoscibili, siano essi le vittime o i ‘bulli’.
In verità, potrebbe stupire molte persone sapere che può capitare a chiunque. I ragazzi, sempre più spesso anche i bambini, vittime di bullismo non hanno nessun segno distintivo, nessuna caratteristica riconoscibile che lasci pensare ad un predestinato. Sono semplicemente diventati oggetto di attacchi da parte di un gruppo, di cui il ‘bullo’ diventa il leader. Non ci sono spesso ragioni specifiche, se non il fatto che in genere la vittima di bullismo è più facilmente isolabile o isolata, dunque più fragile o attaccabile.
Quali sono le caratteristiche del bullo? Dipende. Non è vero, come spesso si crede, che a ‘giocare la parte del bullo’ siano ragazzi provenienti da ambienti di scarsa cultura e disagio socioeconomico. Molto frequentemente, anzi, i bulli provengono anche da famiglie agiate e cosiddette ‘per bene‘.
Cosa spinge allora un ragazzo a trasformarsi in carnefice persecutore nei confronti di un compagno fragile, timido o isolato?
Le ragioni, naturalmente, non possono essere elencate in modo meccanico e universale, ma occorre approfondire ogni singola storiapersonale e familiare, ma anche il contesto sociale e ambientale in cui si verificano i fenomeni di bullismo:
come si pone la scuola, la classe, gli insegnanti?
come si pongono le famiglie non coinvolte direttamente di fronte agli eventi?
quanta conoscenza c’è del fenomeno e quali fantasie hanno i genitori sui propri figli?
di quali strumenti dispongono i genitori per affrontare le condotte dei figli?
che tipo di comunicazione si coltiva in famiglia?
che ruolo gioca il gruppo dei pari? chi approva o disapprova i comportamenti aggressivi e persecutori del bullo?
Come si può intendere non è possibile affrontare e risolvere un fenomeno così complesso e sfaccettato in poche parole e in modo univoco, ma ogni situazione va considerata nella sua specificità, ponendo allo stesso tempo grande attenzione al lato personale e alla dimensione sociale come contesto di vita.
PER APPROFONDIRE QUESTO TEMA VI ASPETTIAMO
Martedì 29 Maggio Ore 18.30
Studio Professionale Baroncini | via Val di Sole 22, Milano
Perché continuo a proporre cicli di crescita personale a Milano e dintorni?
Perché vivo sempre con fiducia e determinazione il piacere di far sperimentare alle persone esperienze di gruppo significative, per quanto estemporanee e temporanee possano essere?
Cosa mi fa pensare che ogni volta possa magicamente ripetersi il rituale momento dell’incontro e aprire così le porte a ciò che lo Psicodramma rende così immediato e spesso rivelatore…?
È così che le persone scoprono nuovi punti di vista, anche solo per un giorno, anche solo per un istante. Un istante illuminante, rivelatore di emozioni e pensieri invisibili o inesprimibili fino al magico momento della scena. In cui tutto sembra così palesemente lampante e comprensibile.
Noi siamo sempre gli stessi, eppure siamo veste nuova, sguardo nuovo, prospettiva inattesa.
Forse è per questo che rinnovo nel tempo la voglia di accendere una luce e aprire una porta in spazi sempre nuovi e con persone di passaggio. Che a volte scelgono di fermarsi più a lungo.
Per poter tornare a guardare ancora dentro le stanze della propria anima.
Oppure generosamente offrire il proprio benevolo punto di vista ad altri viaggiatori di passaggio.
…ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore … perchè io avro cura di te…
…diceva Franco Battiato
Prendersi cura di sé è spesso considerato un lusso, un optional o un privilegio di pochi.
Come impariamo a prenderci cura di noi stessi, prima che ancora che degli altri?
Saranno le nostre esperienze di cure ricevute che ci insegneranno a dare a nostra volta cura … alla persona amata, ai figli, ai pazienti, ai clienti, alle persone che incontriamo e riteniamo possano giovare della nostra vicinanza e ne meritino il valore.
Prima ancora che di altri però dobbiamo imparare a prenderci cura di noi, dei nostri bisogni, dei nostri spazi, dei nostri tempi…
Possiamo permetterci di dare ascolto alle emozioni che spesso affiorano, ma tendiamo a ricacciare in fondo agli spazi di vita quotidiana, se lo decidiamo con fermezza. Non è di certo automatico nè immediato, non è ovvio nè semplice nell’ordine delle cose di ogni giorno, poter davvero aprire le porte ad uno spazio di ascolto di sé in cui lati oscuri e prospettive di luce abbiamo una loro dignità di vita.
Un tempo…uno spazio…un nome…
A volte sono le persone intorno a noi, quelle a cui affidiamo pezzettini del nostro cuore, che ci aiutano a riservare a questo bisogno lo spazio che merita. Altre volte invece siamo noi stessi a garantirlo e difenderlo con le unghie e con i denti, dalle continue interefernze di una vita ricca di parentesi e spezzettati spazi di relazioni spesso fugaci, estemporanee e un po’ casuali.
Grazie alle relazioni spesso possiamo respirare profondamente in quello spazio di vita emotiva che restituisce profondità alla vita che ci scorre tra le mani digitanti.
Lo PSICODRAMMA è un modo, tra altri, per prendersi un spazio per sé, di vero ascolto interiore, grazie alla relazione con gli altri e ad un sincero rapporto integrato tra mente e corpo.
Di cosa si tratta?
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Di momenti di gruppo, rivolti a tutti, in cui poter dedicare a sé stessi uno spazio di ascolto e narrazione, consapevolezza e ricerca, per poter orientare la propria vita secondo bisogni e desideri, risorse e limiti, anche grazie alla relazione con altre persone.
Perchè partecipare?
Per accrescere il proprio potenziale espressivo e la propria autodeterminazione.
Per meglio comprendere le relazioni della propria vita, a casa e sul lavoro.
Per vedere con occhi diversi la propria persona e immaginare evoluzioni possibili.
Come ogni anno le famiglie sono alle prese con la scelta delle attività per i propri figli, conciliando una serie di incastri di varia natura… ” Voglio stare con il mio amico…il giovedi no perche c’è già nuoto… ma non possiamo nemmeno riempire l’agenda…qualcosa di attivo…qualcosa di nuovo…ma anche divertente…ma anche utile..”
Insomma la scelta dei genitori non è mai facile e anche i bambini hanno i loro interessi.
Nella scelta dei genitori, però, ci sono spesso una serie di elementi di tipo educativo-pedagogico che fanno la differenza, per proporre ai propri figli qualcosa che oltre a “occupare il suo tempo” fornisca strumenti utili per crescere in modo armonico e consapevole.
I cambiamenti evolutivi, nessuno escluso, e le fasi della vita impongono continui cambi di rotta e assestamenti nella personalità di un individuo in crescita (e spesso anche negli adulti!) che richiedono un’attenzione discreta e un morbido supporto. Affrontare le relazioni e imparare a conoscere le proprie specificità richiede competenze non così ovvie nè sempre così fluide, non per tutti allo stesso modo.
Cosa significa avere autodeterminazione e accrescere la propria autostima?
Come si acquisisce la consapevolezza delle proprie risorse e dei propri punti fragili?
Come si può sviluppare maggiore capacità espressiva nella comunicazione verbale e corporea?
Quanto incide sulle scelte di vita la capacità di esprimere bisogni, desideri, dubbi, paure, intenzioni, emozioni?
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Psicodramma Espressivo per bambini di 8 – 11 anni
Open day
Mercoledì 27 Settembre | ore 17.30 – 18.30
In collaborazione con Associazione Punto Uno
via Faruffini 6, Milano | MM De Angeli
Il laboratorio a cadenza settimanale sarà condotto con strumenti di espressività corporea che stimolano la consapevolezza di sé e il processo di crescita, nella relazione con altri, attraverso attività di gioco che coinvolgono tutte le potenzialità del bambino in modo integrato.
Si propone ai bambini uno spazio per esprimersi, raccontarsi, giocare, accrescere la consapevolezza di sé e del proprio corpo attraverso il movimento e la parola. La relazione con altri bambini è elemento fondante il processo di crescita e riconoscimento di sé, nel rispetto delle differenze e unicità di ognuno.
La metodologia si basa sull’ accoglienza dei bisogni di ognuno, verso lo sviluppo di una maggiore potenzialità di espressione di sé e autodeterminazione, con diversi strumenti: