Come si esprimono e si manifestano nella relazione tra genitori e figli?
Quanto siamo consapevoli come genitori dell’uso che facciamo della rabbia?
E quanto scegliamo di utilizzare la rabbia intenzionalmente nel nostro ruolo educativo?
La relazione tra genitori e figli è spesso portatrice di sentimenti incontrollati, che attivano nei genitori reazioni che talvolta hanno un’origine lontana nel tempo…
La rabbia è una di queste emozioni, una reazione profonda, che spesso sfocia in aggressività, innescando una reazione a catena di eventi da cui è difficile prendere le distanze, se non attivando consapevolmente un freno, un atto di rinnovamento della relazione, interrompendo un’escalation in cui entrambe le parti si sentono ingaggiate inesorabilmente.
Il cortocircuito della rabbia è uno dei tanti meccanismi che accompagna le relazioni tra genitori e figli. Non è l’unico.
Ognuno di noi ha poi un modo diverso di rispondere alla rabbia, dal più dirompente al più ritirato. Ognuno di noi ha legittimamente costruito nel tempo il modo più funzionale e solido che ha potuto, secondo la propria storia personale affettiva e umana, nel corso della vita.
Non sempre però si rivela il più efficace o il più appagante in tutte le nostre relazioni, Talvolta nel corso del tempo ci accorgiamo di essere rimasti imprigionati in un meccanismo che non ci appartiene più o non è più adeguato ai nostri contesti di vita. Ma non riusciamo ugualmente a cambiarlo. Rivedere i nostri script, bias, preconcetti, rigidità comportamentali richiede tempo, consapevolezza, energia, volontà e una buona alleanza con noi stessi e con le persone che ci circondano
Proponiamo una serata rivolta a genitori e figli per parlare collettivamente senza il vincolo del rapporto diretto della rabbia nelle relazioni, rivolto agli abitanti di San Donato.
La riflessione sarebbe di per sè sufficiente ed esaustiva, lasciando ampio spazio alla riflessione interiore, quel dialogo interno di cui parla Hanna Arendt, per essere in accordo e disaccordo con il proprio sè, nei diversi gradi di consapevolezza della propria dimensione di ascolto interno.
Molti di noi glorificano con parentesi importanti gli spazi-tempo del dialogo interiore, alla ricerca di una coerenza interna (ambizione faticosa e spesso limitante), o quantomeno di una accettabile direzione possibilmente in linea con l’immagine di sè compatibile con il proprio ideale.
Così sottoponiamo le nostre azioni, le nostre scelte e i nostri pensieri a filtri superegoici o letture dei possibili significati, per ritrovare quello senso di interezza e congruenza che ci fa sentire al posto giusto, in una rapida sociometria interiore tra posizioni reali e desiderata. Da questi continui ricollocamenti si aprono enormi squarci di dubbio e incertezza, ma fortunatamente anche utili riposizionamenti, scelte e orientamenti personali e professionali.
Diceva Oscar Wilde “La coerenza è l’ultimo rifugio di chi è privo di fantasia”, ma proprio in quella continua ricerca di allineamento di sè, nel dialogo interiore del nostro ‘due-in-uno’, diamo un senso al nostro quortidiano agire e pensare, parlare, incontrare le persone e le scelte.
La donna è mobile… e l’uomo pure aggiungerei, se possiamo concedere a noi stessi di cambiare idea e posizione, pur restando fedeli al nostro senso di unità nel perenne dialogo solitario di crescita e consapevolezza.
Pratica guidata di esplorazione somatica ed emotiva
Laboratorio in presenza per #amedi 22 maggio 2021 | Condotto da Tatiana Sicouri
Il laboratorio si propone come un’esperienza di esplorazione dei propri movimenti somatici ed emotivi, attraverso il corpo, la parole, le immagini …la narrazione. Non occorre alcuna esperienza o competenza pregressa. Ogni persona ha la possibilità di parecipare secondo le proprie disponibilità emotive e bisogni autentici.
L'assocazione Amedi - Associazione Movimento Evolutivo Dinamico Italia - propone mensilmente incontri laboratoriali in presenza e On-line, volti ad approfondire processi di consapevolezza di sè, in contatto con il proprio bagaglio emotivo e memoria corporea
Tendiamo spesso a distinguere i percorsi terapeutici che lavorano attivamente sul corpo e sui processi somatici, dai metodi terapeutici che si basano sulla parola.
I processi somatici
sono parte del viaggio terapeutico
Ci stiamo abituando all’incontro umano nella bidimensionalità dello schermo, privo di contatto e comunicazione non verbale. Il corpo è il grande assente. Dimenticato o ignorato, lasciato sullo sfondo o indirettamente oggetto di sguardi non espliciti.
Mi vedi?
Ti vedo
Devo spegnere la telecamera
Guardami. Io ci sono. Sono sempre la stessa persona, quella che hai abbracciato molte volte. Il mio viso è visibile, non la mia essenza, non le mie emozioni, non il mio stare nelle cose, nella vita, nell’esperienza.
Mi senti?
Non ti sento
Ti ascolto
Sento la tua voce ma non la tua presenza. Mi metto in ascolto ma sono disturbata da interferenze di persone intorno a me, in carne e ossa, presenti alla mia vita ma non a quello che mi accade in questo momento. Vorrei essere altrove. Vorrei essere sola. Vorrei poter scegliere dove, come e con chi stare.
Dove sei?
Non posso parlare…ci sono altre persone…
Arrivo…
Prima non c’ero… ero assente? trasparente? invisibile? sullo sfondo?
Dove sono stata finora?
E dov’è il mio esserci?
Dove’è il mio corpo e i suoi fastidi…muscoli…disagi…tensioni..bisogni?
Resta un desiderio che colmi l’assenza. Siamo esseri in forme del corpo …in azione e in presenza a sè stessi delle proprie identità somatiche, mutevoli e inevitabilmente sfuggenti.
Non afferriamo il più delle volte il nostro esserci psico-somatico, se non intenzionalmente orientati all’ascolto di sè, con la consapevolezza non ovvia acquisita nel tempo e attraverso la cura di un dialogo continuo tra flussi di pensiero e flussi di azione e movimento.
E’ così che si lavora, talvolta, nel processo terapeutico.
Allentando le briglie del controllo cognitivo e soffiando sotto la brace del bisogno di riconoscimento della propria natura intera, di individuo integrato e complesso, di cui troppo spesso dimentichiamo lo spessore.
Così riusciamo a far accadere che il corpo prenda forma e spazio e si ponga in ascolto delle parole che ne emergono, spontaneamente risvegliate dalla presenza a sè stessi. La possibilità di trovare parole acquista all’improvviso un’immediatezza inattesa e si apre lo slancio a quel dialogo interioredi un flusso a due tra pensiero e sentire, tra parola e gesto, tra intenzione e volontà, tra bisogno e confine, tra fatica e sforzo, tra libertà e controllo… … …
Dinamicamente fluisce un potenziale trasformativo e generativo che offre stimoli all’azione e all’esserci nel proprio qui e ora quotidiano, negli stralci offerti dallo spazio di Cura di sè, in processo di crescente consapevolezza.
Il viaggio è solo all’inizio.
Ma non si può più farne a meno.
I confini si ampliano e l’incontro con gli altri e i loro mondi … ecco che acquista strati di spessore assolutamente inediti e liberatori. I vincoli sono nuove opportunità di esplorazione e conoscenza di sè.
Così la parola evolve in nuove direzioni di senso e significazione.
Inutile ripetere per l’ennesima volta quanto la situazione di Pandemia mondiale che stiamo vivendo influenzi il benessere psicofisico delle persone…
O forse non è inutile? Forse invece è importante ricordare e riconoscere alle persone il diritto di essere preoccupate, ansiose, inquiete, spaeventate, instabili, umorali, stanche…etc etc etc…
Molte persone vivono il malessere senza accoglierlo. Molti non riconoscono a se stessi il diritto di avere momenti di stallo e disorientamento, perchè la società ci chiede di continuare ad essere ‘adeguati’ e la vita quotidiana in famiglia e nelle relazioni pone continuamente condizioni di mediazione tra i bisogni individuali e i vincoli collettivi.
E così ci affaniamo alla ricerca di un equilibrio dinamico, accompagnato da sensazioni di disagio o inaduegatezza, che non sempre prendiamo il giusto tempo per legittimare e prendere in carico.
I modi per prendersi cura di sè sono molti e ognuno di noi trova nel tempo strategie personali. Non tutti viviamo con serena disponibilità la possibilità di chiedere aiuto …alle persone a noi vicine, agli amici, i colleghi, professionisti, partner. Ci vergogniamo.
La vergogna ha orgini primarie nella nostra esistenza e talvolta influenza i nostri comportamenti inconsapevolmente. Ne siamo influenzati senza averne coscienza e ci precludiamo la possibilità di intraprendere un percorso di Cura di sè nei modi e tempi che il nostro bisogno richiede
A volte bastano poche parole o una chiacchierata informale per attivare pensieri ed emozioni, che ricordano a noi stessi quanto il benessere psicofisico e relazionale influenzi le nostre scelte, l’orientamento personale e relazionale quotidiano, ma anche la possibilità di investire con fiducia sui propri progetti personali e professionali.
Nell’equilibrio dinamico di individui sociali in una società definita ‘fluida’, piccoli assestamenti possono generare cambiamenti significativi per noi stessi e per le persone che fanno parte del nostro ‘sistema-mondo relazionale’.
La consapevolezza è una grande risorsa, che non sempre facilita le proprie decisioni e intenzioni, ma indubbiamente le rende decisamente più interessanti!
Si usa dire così di fronte a momenti di plateale scambio dialogico tra persone, verosimilmente qualcosa di molto simile ad una scena teatrale, spesso conflittuale e ad alto volume.
Perchè si tende ad associare i momenti di sfogo libero delle emozioni, in forma teatrale e plateale allo Psicodramma?
Lo Psicodramma è una metodologia terapeutica e di conduzione di gruppi in ambiti molteplici. Specificità dello psicodramma è la concretizzazione scenica, ossia la messa in azione, in uno spazio chiamato Teatro di Psicodramma, di emozioni, parti di mondo interno delle persone, dinamiche relazionali e sfumature emotive ad esse connesse.
Si pensa, impropriamente, che “fare psicodramma” significhi fare una sceneggiata, amplificare in modo libero e indistinto le proprie emozioni, lasciando sfogo incontrollato ai propri impulsi emotivi, nelle relazioni umane.
Paradossalmente è proprio il contrario!
Nello Psicodramma il conduttore, non a caso chiamato Direttore di Psicodramma, veicola e contiene l’espressione delle emozioni organizzandole sulla scena, in modo che la persona possa sì esprimerle liberamente, ma in modo strutturato e funzionale alla consapevolezza e riorganizzazione di esse nel proprio mondo emotivo interno.
Fare Psicodramma, cioè, significa proprio dare forma e orientare emozioni e pensiero, per meglio comprenderle e incanalarle, evitando che esse si esprimano in modo indistinto e incomprensibile per sè e per le persone vicine, con il rischio di essere fraintese e generare conflitti e trasfigurazioni.
In alcuni programmi televisivi le persone sono invitate a lasciar fluire in modo incontrollato le emozioni, generando momenti di grande impatto scenico, che però non hanno nulla in comune con lo Psicodramma. Casomai possono essere più propriamente associate alla Commedia o a forme di Teatro che intendono porprio suscitare sorpresa e generare nel pubblico emozioni di rispecchiamento.
Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro.
La Bambola Abayomi e l’Incontro con la fiducia in Sé
IAGP Iseo Conference 2019 – Workshop di Psicodramma interiore con le bambole Abayomis ( Maria Cèlia Malaquias, Brasil)
E’ nata tra le mie mani. Da tre semplici fili di stoffa. Ha iniziato a prendere corpo e acquisire gradualmente una sua identità. Ha preso forma tra le mie dita, ha scelto i suoi vestiti e la direzione del suo volto. Poi all’improvviso ha iniziato a guardarmi!
Così per caso, grazie a Maria Cèlia Malaquias, mi sono trovata a conoscere la storia triste e romantica di questa bambola nera. Le madri, durante il viaggio in nave degli schiavi deportati dall’Africa al Brasile, tentavano di alleggerire il peso della schiavitù dei propri figli, staccando pezzi di stoffa dai propri abiti, per farne bambole preziose. Boneca Abayomi significa proprio (parola di origine Yoruba) ‘Incontro Prezioso‘. Rappresentano felicità e gioia. Sono realizzate esclusivamente con nodi.
Il nostro Incontro Prezioso è stato un prendersi cura reciproco, l’una dell’altra con candida semplicità. Io l’ho aiutata a prendere forma e lei mi ha mostrato ciò che di me avrei potuto risvegliare, con un atto di fiducia e paziente serenità.
Appagate e reciprocamente riconosciute ci siamo regalate un amorevole sorriso, prima di aprire lo sguardo all’Altro, colui che incontriamo accanto a noi, per ascoltarne le storie e le emozioni.
Lo Psicodramma è una Metodologia (e non una tecnica, come alcuni pensano) che consente di accedere a contenuti interni attraverso molte strategie o strumenti (come la bambola, il disegno, la fotografia e molto altro) che facilitano i processi di auto-osservazione e identificazione. Ciò accade perchè le strategie relazionali utilizzate, valicano con autentica semplicità alcuni ‘ostacoli’ della nostra coscienza, lasciando libero accesso a contenuti profondi, spesso incapsulati dentro sovrastrutture cognitive o culturali.
L’Incontro con la bambola è stato l’incontro con me stessa, con una parte di me che non avevo considerato o non volevo ascoltare prima, ciò che J.L.Moreno chiama Teatro Interno. Noi siamo esseri multiformi e ricchi di contradditorie verità. Spesso fatichiamo a dare il giusto valore ad ognuna di queste parti, nella difficoltà di integrare conflitti e ambivalenze.
Eppure quando accettiamo di essere Individui complessi si apre una varietà di mondi …di cui non potremo mai più fare a meno!
La poesia di questo Incontro ha rinnovato le intenzioni per i tempi a venire, nel quotidiano lavoro delle relazioni. Adesso siamo pronte per guardare con occhi puliti l’Altro da noi, prima di chiedergli come si chiama.
La scuola è il primo vero grande contesto in cui l’individuo si sperimenta come essere individuato, in una dimensione comunitaria di persone con ruoli e gerarchie differenti.
I vari ruoli sociali agenti nella comunità-scuola hanno a loro volta aspettative implicite ed esplicite sugli altri attori convolti nel processo educativo…e culturale.
Ecco un’ipotesi di rappresentazione sociometrica delle reciproche aspettative implicite:
Genitori, insegnanti e alunni hanno reciproche aspettative implicite
Emerge qui la non corrispondenza tra le diverse aspettative, dovuta ad una comunicazione talvolta parziale sul piano educativo, oltre che didattico. Molte scuole consolidano il rapporto famiglie-scuola-alunni con il Patto Formativo, firmato a tre mani ad inizio d’anno, ma sappiamo che si tratta di un accordo unidirezionale, in cui non è stato possibile esplicitare in modo circolare aspettative e vincoli, dando uguale spazio di parola e pensiero a tutti gli ‘attori’ in gioco.
Nella nostra società, pregna di comunicazioni trasversali e complesse, tutti gli attori hanno teoricamente pari diritto e spazio di parola, alimentando attraverso i media-social dinamiche in cui può accadere di rimbalzarsi reciproche responsabilità e ‘funzioni’ di ruolo. Ne consegue che si perde di vista il ‘chi fa cosa’?
Allora ecco perchè parlare di responsabilità oggi?
Perchè le modalità comunicative e organizzative del tempo attuale consentono di svicolare in modo semplice e naturale dalle responsabilità individuali per una serie di ragioni.
In parte perchè il mondo social veicola modalità anonime quanto egocentriche di esaltazione della soggettività, ma senza troppo implicare le persone/cittadini in un reale sforzo di azioni significative per la collettività, responsabili e riconoscibili ai fini di un’evoluzione culturale della Comunità di appartenenza.
In parte perchè ci stiamo facilmente abituando ad una modalità soft di partecipazione all’esperienza reale, in cui è sufficiente cliccare “partecipo” per darci l’illusione di essere realmente parte di un avvenimento, così come è facile decidere di non partecipare ad un impegno preso, in virtù di una percezione della propria presenza come accessoria, non fondamentale, ulteriore a quella di molti altri, altrettanto anonimamente non essenziali.
Sto ovviamente estremizzando…ma neanche tanto!
Accade così che i luoghi che da sempre detenevano un ruolo centrale nella formazione dell’individuo, ai fini di un sempre crescente coinvolgimento del futuro adulto nel processo trasformativo dei luoghi di vita e lavoro, perde spessore e accompagna quel senso di transitorietà delle persone nei luoghi importanti dell’esistenza, tra cui la scuola.
E proprio come gli studenti non avvertono il potere culturale della scuola, come luogo di crescita formativa personale, prima ancora che come luogo di sviluppo di competenze tecniche ad uso del futuro ‘lavoratore’, ugualmente gli insegnanti si sentono ‘depotenziati’ nel valore scientifico e culturale che dovrebbero o potrebbero trasmettere ai giovani alberelli ancora acerbi.
Più che mai al tempo attuale di transitorietà delle esperienze, in luoghi molto spesso fruibili con ‘modalità leggere’ di appartenenza e partecipazione, la scuola detiene un ruolo centrale come agente educante sul piano non solo didattico e culturale, ma anchee soprattutto sociale e umano, perchè proprio dentro la scuola si giocano e si agiscono i meccanismi relazionali che preparano i futuri cittadini ad una visione del mondo poliedrica e multiculturale, che ci piaccia o no, portatrice di saperi complessi e integrati.
Agli insegnanti l’arduo compito di mescolare gli ingredienti saporiti e coraggiosi di questa preziosa ricetta!
Come vogliamo accompagnare i nostri figli nel percorso di crescita?
Cosa ci immaginiamo possa essere il meglio per loro?
Che cosa significa BENESSERE per bambini o ragazzi in crescita?
Che tipo di esperienze desideriamo per loro, affinchè crescano con consapevolezza e capacità di fare delle scelte?
Come genitori, le scelte da fare durante il percorso di crescita di un figlio/a sono molte, alcune immediate, altre più complesse. Talvolta sono loro a chiedere di fare un’esperienza, altre volte siamo noi ad osare, proponendo loro qualcosa che non sceglierebbero, perchè sconosciuto o perchè apparentemente troppo distante dalla propria esperienza quotidiana.
A noi genitori tocca il difficile compito di osare, di azzardare, spingedoli verso un’esperienza nuova, sconosciuta, che può aprire loro le porte di nuove letture del mondo e messa in gioco di sé.
Alcune esperienze passano attraverso canali di esplorazione che toccano tutte le sfere della persona, corpo e mente, emozioni e pensiero, relazione e separazione, parola e azione, gruppo e individualità.
Quello che proponiamo, nell’esperienza di gruppo, è una parentesi di gioco-esplorazione, che passa attraverso tutte queste sfere della vita ed esperienza umana, in modo rispettoso delle differenze individuali, con un po’ di leggerezza, ma anche di profondità.
I GRUPPI TERAPEUTICI E PSICOPEDAGOGICI sono rivolti a bambin@ e ragazz@ da 8 a 16 anni, in gruppi adeguati all’età, e hanno l’obiettivo di accompagnarli durante tutto l’anno, nello scorrere delle esperienze e degli umori che vivono passo dopo passo…
Si svolgono con cadenza quindicinale da Mercoledì 3 Ottobre
Così si è concluso stasera un ciclo di incontri di Crescita Personale per un gruppo a termine.
Per le persone che hanno partecipato è stato un piccolo viaggio, in cui insieme hanno potuto generosamente ascoltare ed essere ascoltati.
Nonostante un tempo breve di condivisione, di pochi incontri, c’è stato il tempo e l’intensità per poter aprire le porte sulle stanze più intime delle persone, secondo la disponibilità emotiva e relazionale di ognuno.
Abbiamo aperto i nostri sguardi rispettosi sulle emozioni di ognuno, sulle difficoltà, le relazioni per loro importanti, i desideri, i blocchi, le aspettative, i bisogni… Il rispetto di tutti, come sempre, ha consentito una grande delicatezza nell’accogliere le differenze e le specifiche individualità…così come anche le risorse propositive ed assertive che per qualcuno sono un obiettivo, ma mutuate da altri , possono diventare un modello per sè, di nuove possibilità di relazione con gli altri e di vita.
Le parole con cui ci siamo salutati sono state autenticità e gratitudine.
Ogni persona è stata autentica nel suo modo di partecipare, ma anche di non partecipare. L’autenticità ha offerto a tutti la possibilità di esserci e mettersi in gioco, ma anche di essere spettatori e rimanere ai margini. La spontaenità e il profondo rispetto reciproco ha consentito ad ognuno di ascoltare se stesso, mentre viveva un’esperienza significativa da un punto di vista emotivo e di crescita per sè.
Semplicemente, ancora una volta, si rivela il potenziale terapeutico e trasformativo del gruppo nelle sue funzioni relazionali e di rispecchiamento, attraverso cui le persone possono ritrovare sè stesse negli occhi dell’altro e riconoscere meglio le proprie caratteristiche, guardando autenticamente l’Altro come specchio di sé.