Siamo proprio, a quanto pare, intrisi di conflittualità, attraverso veicoli di intermediazione del messaggio sempre più frammentati e discontinui. Ci accontentiamo di raccogliere stralci di informazioni e messaggi, per intraprendere battaglie linguistiche (nella migliore delle ipotesi) su fronti di schieramento di cui sentirci parte e paladini più o meno consapevolmente.
Spesso la nostra capacità di ‘ascoltare’ il messaggio-contenuto è secondaria rispetto al riconoscimento della fonte o della posizione da cui proviene.

Così (ahi quanto la storia si ripete inesorabilmente!), siamo più preoccupati della posizione del nostro interlocutore-antagonista, che del suo reale pensiero e messaggio (quando c’è!).
Le distanze sono aumentate, non solo perchè impossibilitati ad incontrarci di persona, autenticamente e dinamicamente, ma anche perchè siamo sempre meno disposti a mettere ‘sul piatto’ del dialogo i nostri pensieri ed emozioni, in posizione difensiva, spesso protesa alla vittoria piuttosto che al confronto e all’eventuale e pericolosissimo cambio di posizione. Rivedere i propri pensieri e cambiare idea è qualcosa di dinamico, possibile (per quanto difficile) solo attraverso l’evoluzione nella relazione dinamica. Come possiamo cambiare idea se difficilmente incontriamo gli altri come individui, piuttosto che come ‘rappresentanti’ di una posizione/pensiero socialmente identificata?
E non è una cosa seria cercare di capire perchè i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente? Non è importante la guerra tra le pecore e i fiori? Non è più serio e più importante delle addizioni di un grosso signore rosso? E se io conosco un fiore unico al mondo, che non esiste da nessuna parte, altro che nel mio pianeta, e che una piccola pecora può distruggere in un colpo, così un mattino, senza rendersi conto di quello che fa, non è importante questo!?
Il piccolo principe

Sono semplificazioni. Chiaramente provocatorie, ma ascoltando tra le righe dei nostri quotidiani dialoghi e scambi con le persone, ci accorgiamo del modo in cui affrontiamo l’incontro? Ci rendiamo conto se veramente l’ascolto si pone come condizione dinamica di un’assunzione di responsabilità di ascolto autentico di sé, quanto della sua potenziale indeterminatezza e incoerenza?