Parlare di dipendenze oggi è quantomai scontato, ma allo stesso tempo quasi un tabù.
Siamo tutti influenzati da dipendenze più o meno accettate socialmente, anche inconsapevolmente.
Come si fa a riconoscere se si è dipendenti da qualcosa? Qual’è il grado di dipendenza accettabile per me? e per gli altri?
E quali sono le dipendenze che fanno più paura, di cui si tende a non parlare e quali ci accompagnano amichevolmente nelle nostre giornate, come parte integrante della nostra vita lavorativa, affettiva e sociale?
La dipendenza è pericolosa? è qualcosa da cui occorre difendersi e proteggersi? oppure possiamo serenamente convivere con una dipendenza?… a patto che non venga considerata tale..?
“Ma parità dei sessi vuol dire che dobbiamo avercelo lungo tutti uguale?”
Woody Allen
Nel percorso di crescita e cambiamento che ognuno di noi affronta per l’intera durata della vita, si toccano molteplici aree tematiche su cui interrogarsi. Una di queste è la dimensione amorosa, affettiva, relazionale, che inevitabilmente è anche identitaria.
In alcune fasi della vita risulta essere ancora più complesso e destabilizzante collocarsi, non soltanto rispetto ad un rapporto autentico con se stessi, ma anche nei confronti delle appartenenze sociali.
La dimensione identitaria diventa anche scelta politica, nel senso più radicato sul piano etimologico, quando la propria posizione identitaria deve fare i conti con limiti e vincoli sociali rilevanti, che ne incanalano anche le scelte, le possibilità personali e professionali, all’interno di contesti sociali e geografici connotati in modo più o meno esplicito rispetto alle tematiche fondanti direzioni di vita e posizionamenti umani.
Interrogarsi sul proprio posto nel mondo è una domanda da giovani. Ci sono persone che possono o devono porsi questa domanda in diverse fasi della vita, a volte anche ripetutamente.
Non è facile prendere posizione rispetto alla propria identità profonda. Nè tantomeno rispetto a contesti sociali e famigliari infulenti e vincolanti.
Potersi permettere il tempo della domanda è già un lusso a cui non tutti accettano di andare incontro. Nel tempo per sè a volte si trova spazio anche per porsi domande difficili… le cui risposte possono richiedere anni.
Come psicoterapeuta e psicodrammatista perseguo da tempo una metodologia di lavoro che intende integrare processi somatici e consapevolezza emotiva.
Lo studio di approcci che consentono di lavorare parallelamente su queste due dimensioni evolve in un percorso di ricerca continua e sempre mutevole.
Zerka Moreno intervistata da Sergio Guimaraes
Ascoltando Zerka Toeman Moreno ritrovo il seme del lavoro quotidiano, riconoscendo il corpo come luogo d’elezione nel processo di ‘riscaldamento’ (warming up) del gruppo al processo terapeutico, che attraverso la relazione innesca poi dinamiche potenzialmente evolutive o di approfondimento dei propri processi emotivi e umani.
L’accesso al mondo interno porta spesso difese emotive funzionali, che ne possono rendere tortuosa e impervia la via di ingresso. Non sempre il desiderio di iniziare un percorso terapeutico va di pari passo con la disponibilità ad aprirsi, né con la facilità ad accedere alla propria storia emotiva e relazionale. Poter lasciare il giusto tempo perché accada permette di accoglierne sfumature spiacevoli e momenti di stallo. Quando ascoltiamo la voce del corpo ne vediamo più chiaramente le incrinature e aperture.
La parola segue l’emozione e l’emozione segue l’esperienza, che il corpo incarna e digerisce, concretizza definendone confini e forme.
Tendiamo spesso a distinguere i percorsi terapeutici che lavorano attivamente sul corpo e sui processi somatici, dai metodi terapeutici che si basano sulla parola.
I processi somatici
sono parte del viaggio terapeutico
Ci stiamo abituando all’incontro umano nella bidimensionalità dello schermo, privo di contatto e comunicazione non verbale. Il corpo è il grande assente. Dimenticato o ignorato, lasciato sullo sfondo o indirettamente oggetto di sguardi non espliciti.
Mi vedi?
Ti vedo
Devo spegnere la telecamera
Guardami. Io ci sono. Sono sempre la stessa persona, quella che hai abbracciato molte volte. Il mio viso è visibile, non la mia essenza, non le mie emozioni, non il mio stare nelle cose, nella vita, nell’esperienza.
Mi senti?
Non ti sento
Ti ascolto
Sento la tua voce ma non la tua presenza. Mi metto in ascolto ma sono disturbata da interferenze di persone intorno a me, in carne e ossa, presenti alla mia vita ma non a quello che mi accade in questo momento. Vorrei essere altrove. Vorrei essere sola. Vorrei poter scegliere dove, come e con chi stare.
Dove sei?
Non posso parlare…ci sono altre persone…
Arrivo…
Prima non c’ero… ero assente? trasparente? invisibile? sullo sfondo?
Dove sono stata finora?
E dov’è il mio esserci?
Dove’è il mio corpo e i suoi fastidi…muscoli…disagi…tensioni..bisogni?
Resta un desiderio che colmi l’assenza. Siamo esseri in forme del corpo …in azione e in presenza a sè stessi delle proprie identità somatiche, mutevoli e inevitabilmente sfuggenti.
Non afferriamo il più delle volte il nostro esserci psico-somatico, se non intenzionalmente orientati all’ascolto di sè, con la consapevolezza non ovvia acquisita nel tempo e attraverso la cura di un dialogo continuo tra flussi di pensiero e flussi di azione e movimento.
E’ così che si lavora, talvolta, nel processo terapeutico.
Allentando le briglie del controllo cognitivo e soffiando sotto la brace del bisogno di riconoscimento della propria natura intera, di individuo integrato e complesso, di cui troppo spesso dimentichiamo lo spessore.
Così riusciamo a far accadere che il corpo prenda forma e spazio e si ponga in ascolto delle parole che ne emergono, spontaneamente risvegliate dalla presenza a sè stessi. La possibilità di trovare parole acquista all’improvviso un’immediatezza inattesa e si apre lo slancio a quel dialogo interioredi un flusso a due tra pensiero e sentire, tra parola e gesto, tra intenzione e volontà, tra bisogno e confine, tra fatica e sforzo, tra libertà e controllo… … …
Dinamicamente fluisce un potenziale trasformativo e generativo che offre stimoli all’azione e all’esserci nel proprio qui e ora quotidiano, negli stralci offerti dallo spazio di Cura di sè, in processo di crescente consapevolezza.
Il viaggio è solo all’inizio.
Ma non si può più farne a meno.
I confini si ampliano e l’incontro con gli altri e i loro mondi … ecco che acquista strati di spessore assolutamente inediti e liberatori. I vincoli sono nuove opportunità di esplorazione e conoscenza di sè.
Così la parola evolve in nuove direzioni di senso e significazione.
Inutile ripetere per l’ennesima volta quanto la situazione di Pandemia mondiale che stiamo vivendo influenzi il benessere psicofisico delle persone…
O forse non è inutile? Forse invece è importante ricordare e riconoscere alle persone il diritto di essere preoccupate, ansiose, inquiete, spaeventate, instabili, umorali, stanche…etc etc etc…
Molte persone vivono il malessere senza accoglierlo. Molti non riconoscono a se stessi il diritto di avere momenti di stallo e disorientamento, perchè la società ci chiede di continuare ad essere ‘adeguati’ e la vita quotidiana in famiglia e nelle relazioni pone continuamente condizioni di mediazione tra i bisogni individuali e i vincoli collettivi.
E così ci affaniamo alla ricerca di un equilibrio dinamico, accompagnato da sensazioni di disagio o inaduegatezza, che non sempre prendiamo il giusto tempo per legittimare e prendere in carico.
I modi per prendersi cura di sè sono molti e ognuno di noi trova nel tempo strategie personali. Non tutti viviamo con serena disponibilità la possibilità di chiedere aiuto …alle persone a noi vicine, agli amici, i colleghi, professionisti, partner. Ci vergogniamo.
La vergogna ha orgini primarie nella nostra esistenza e talvolta influenza i nostri comportamenti inconsapevolmente. Ne siamo influenzati senza averne coscienza e ci precludiamo la possibilità di intraprendere un percorso di Cura di sè nei modi e tempi che il nostro bisogno richiede
A volte bastano poche parole o una chiacchierata informale per attivare pensieri ed emozioni, che ricordano a noi stessi quanto il benessere psicofisico e relazionale influenzi le nostre scelte, l’orientamento personale e relazionale quotidiano, ma anche la possibilità di investire con fiducia sui propri progetti personali e professionali.
Nell’equilibrio dinamico di individui sociali in una società definita ‘fluida’, piccoli assestamenti possono generare cambiamenti significativi per noi stessi e per le persone che fanno parte del nostro ‘sistema-mondo relazionale’.
La consapevolezza è una grande risorsa, che non sempre facilita le proprie decisioni e intenzioni, ma indubbiamente le rende decisamente più interessanti!
La Bambola Abayomi e l’Incontro con la fiducia in Sé
IAGP Iseo Conference 2019 – Workshop di Psicodramma interiore con le bambole Abayomis ( Maria Cèlia Malaquias, Brasil)
E’ nata tra le mie mani. Da tre semplici fili di stoffa. Ha iniziato a prendere corpo e acquisire gradualmente una sua identità. Ha preso forma tra le mie dita, ha scelto i suoi vestiti e la direzione del suo volto. Poi all’improvviso ha iniziato a guardarmi!
Così per caso, grazie a Maria Cèlia Malaquias, mi sono trovata a conoscere la storia triste e romantica di questa bambola nera. Le madri, durante il viaggio in nave degli schiavi deportati dall’Africa al Brasile, tentavano di alleggerire il peso della schiavitù dei propri figli, staccando pezzi di stoffa dai propri abiti, per farne bambole preziose. Boneca Abayomi significa proprio (parola di origine Yoruba) ‘Incontro Prezioso‘. Rappresentano felicità e gioia. Sono realizzate esclusivamente con nodi.
Il nostro Incontro Prezioso è stato un prendersi cura reciproco, l’una dell’altra con candida semplicità. Io l’ho aiutata a prendere forma e lei mi ha mostrato ciò che di me avrei potuto risvegliare, con un atto di fiducia e paziente serenità.
Appagate e reciprocamente riconosciute ci siamo regalate un amorevole sorriso, prima di aprire lo sguardo all’Altro, colui che incontriamo accanto a noi, per ascoltarne le storie e le emozioni.
Lo Psicodramma è una Metodologia (e non una tecnica, come alcuni pensano) che consente di accedere a contenuti interni attraverso molte strategie o strumenti (come la bambola, il disegno, la fotografia e molto altro) che facilitano i processi di auto-osservazione e identificazione. Ciò accade perchè le strategie relazionali utilizzate, valicano con autentica semplicità alcuni ‘ostacoli’ della nostra coscienza, lasciando libero accesso a contenuti profondi, spesso incapsulati dentro sovrastrutture cognitive o culturali.
L’Incontro con la bambola è stato l’incontro con me stessa, con una parte di me che non avevo considerato o non volevo ascoltare prima, ciò che J.L.Moreno chiama Teatro Interno. Noi siamo esseri multiformi e ricchi di contradditorie verità. Spesso fatichiamo a dare il giusto valore ad ognuna di queste parti, nella difficoltà di integrare conflitti e ambivalenze.
Eppure quando accettiamo di essere Individui complessi si apre una varietà di mondi …di cui non potremo mai più fare a meno!
La poesia di questo Incontro ha rinnovato le intenzioni per i tempi a venire, nel quotidiano lavoro delle relazioni. Adesso siamo pronte per guardare con occhi puliti l’Altro da noi, prima di chiedergli come si chiama.
Così si è concluso stasera un ciclo di incontri di Crescita Personale per un gruppo a termine.
Per le persone che hanno partecipato è stato un piccolo viaggio, in cui insieme hanno potuto generosamente ascoltare ed essere ascoltati.
Nonostante un tempo breve di condivisione, di pochi incontri, c’è stato il tempo e l’intensità per poter aprire le porte sulle stanze più intime delle persone, secondo la disponibilità emotiva e relazionale di ognuno.
Abbiamo aperto i nostri sguardi rispettosi sulle emozioni di ognuno, sulle difficoltà, le relazioni per loro importanti, i desideri, i blocchi, le aspettative, i bisogni… Il rispetto di tutti, come sempre, ha consentito una grande delicatezza nell’accogliere le differenze e le specifiche individualità…così come anche le risorse propositive ed assertive che per qualcuno sono un obiettivo, ma mutuate da altri , possono diventare un modello per sè, di nuove possibilità di relazione con gli altri e di vita.
Le parole con cui ci siamo salutati sono state autenticità e gratitudine.
Ogni persona è stata autentica nel suo modo di partecipare, ma anche di non partecipare. L’autenticità ha offerto a tutti la possibilità di esserci e mettersi in gioco, ma anche di essere spettatori e rimanere ai margini. La spontaenità e il profondo rispetto reciproco ha consentito ad ognuno di ascoltare se stesso, mentre viveva un’esperienza significativa da un punto di vista emotivo e di crescita per sè.
Semplicemente, ancora una volta, si rivela il potenziale terapeutico e trasformativo del gruppo nelle sue funzioni relazionali e di rispecchiamento, attraverso cui le persone possono ritrovare sè stesse negli occhi dell’altro e riconoscere meglio le proprie caratteristiche, guardando autenticamente l’Altro come specchio di sé.
Perché continuo a proporre cicli di crescita personale a Milano e dintorni?
Perché vivo sempre con fiducia e determinazione il piacere di far sperimentare alle persone esperienze di gruppo significative, per quanto estemporanee e temporanee possano essere?
Cosa mi fa pensare che ogni volta possa magicamente ripetersi il rituale momento dell’incontro e aprire così le porte a ciò che lo Psicodramma rende così immediato e spesso rivelatore…?
È così che le persone scoprono nuovi punti di vista, anche solo per un giorno, anche solo per un istante. Un istante illuminante, rivelatore di emozioni e pensieri invisibili o inesprimibili fino al magico momento della scena. In cui tutto sembra così palesemente lampante e comprensibile.
Noi siamo sempre gli stessi, eppure siamo veste nuova, sguardo nuovo, prospettiva inattesa.
Forse è per questo che rinnovo nel tempo la voglia di accendere una luce e aprire una porta in spazi sempre nuovi e con persone di passaggio. Che a volte scelgono di fermarsi più a lungo.
Per poter tornare a guardare ancora dentro le stanze della propria anima.
Oppure generosamente offrire il proprio benevolo punto di vista ad altri viaggiatori di passaggio.
…ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore … perchè io avro cura di te…
…diceva Franco Battiato
Prendersi cura di sé è spesso considerato un lusso, un optional o un privilegio di pochi.
Come impariamo a prenderci cura di noi stessi, prima che ancora che degli altri?
Saranno le nostre esperienze di cure ricevute che ci insegneranno a dare a nostra volta cura … alla persona amata, ai figli, ai pazienti, ai clienti, alle persone che incontriamo e riteniamo possano giovare della nostra vicinanza e ne meritino il valore.
Prima ancora che di altri però dobbiamo imparare a prenderci cura di noi, dei nostri bisogni, dei nostri spazi, dei nostri tempi…
Possiamo permetterci di dare ascolto alle emozioni che spesso affiorano, ma tendiamo a ricacciare in fondo agli spazi di vita quotidiana, se lo decidiamo con fermezza. Non è di certo automatico nè immediato, non è ovvio nè semplice nell’ordine delle cose di ogni giorno, poter davvero aprire le porte ad uno spazio di ascolto di sé in cui lati oscuri e prospettive di luce abbiamo una loro dignità di vita.
Un tempo…uno spazio…un nome…
A volte sono le persone intorno a noi, quelle a cui affidiamo pezzettini del nostro cuore, che ci aiutano a riservare a questo bisogno lo spazio che merita. Altre volte invece siamo noi stessi a garantirlo e difenderlo con le unghie e con i denti, dalle continue interefernze di una vita ricca di parentesi e spezzettati spazi di relazioni spesso fugaci, estemporanee e un po’ casuali.
Grazie alle relazioni spesso possiamo respirare profondamente in quello spazio di vita emotiva che restituisce profondità alla vita che ci scorre tra le mani digitanti.
Lo PSICODRAMMA è un modo, tra altri, per prendersi un spazio per sé, di vero ascolto interiore, grazie alla relazione con gli altri e ad un sincero rapporto integrato tra mente e corpo.
Di cosa si tratta?
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Di momenti di gruppo, rivolti a tutti, in cui poter dedicare a sé stessi uno spazio di ascolto e narrazione, consapevolezza e ricerca, per poter orientare la propria vita secondo bisogni e desideri, risorse e limiti, anche grazie alla relazione con altre persone.
Perchè partecipare?
Per accrescere il proprio potenziale espressivo e la propria autodeterminazione.
Per meglio comprendere le relazioni della propria vita, a casa e sul lavoro.
Per vedere con occhi diversi la propria persona e immaginare evoluzioni possibili.
L’espressione ‘Terapia di gruppo’ ha due accezioni.
Può riferirsi tanto alla cura di un certo numero di persone riunite in particolari sedute terapeutiche, quanto al tentativo preordinato di far maturare in un gruppo delle forze che facilitino un’attività di cooperazione
Questo ci disse Wilfred Bion nel 1971.
E con ciò riusciamo in sintesi a rispondere alle tante domande che spesso le persone pongono su quali siano le differenze tra psicoterapia individuale e di gruppo.
In un gruppo ci occupiamo al contempo delle persone che lo compongono quanto della composizione stessa del gruppo, riconoscendo ad esso un valore terapeutico come agente di cambiamento e specchio delle trasformazioni o rigidità volte alla conservazione dello stato di esistenza stessa del gruppo… o potremmo dire Comunitá, se non addirittura Società!
Bion stesso già diceva:
Non si è ancora cercato di spingere la società a curare i suoi disturbi psicologici con mezzi psicologici, perché essa non ha raggiunto una capacità di introspezione sufficiente a valutare la natura delle sue sofferenze.
Immediato il riferimento a tutti gli elementi di malessere, per non dire patologia, che la nostra società porta con sé senza esserne troppo consapevole.
Inevitabile lasciar andare il nostro pensiero di ‘terapeuti di gruppi’ e dunque in qualche modo di micro-società a tutte le fantasie di cura e cambiamento che per mandato professionale e indole naturale siamo portati a immaginare e anche un po’ presuntuosamente tentare di mettere in azione.
Partendo da cosa?
Dall’obiettivo ambizioso di
educare ed addestrare le comunità nei problemi delle relazioni interpersonali.
Come l’immagine del sasso lanciato nell’acqua cosi abbiamo l’ambizione di veder propagare il cambiamento come un’onda sulla superficie, dal micro al macro, proprio come molti giganti sulle cui spalle ci orientiamo oggi, avevano già idealisticamente immaginato o almeno fantasticato.
Riferimento bibliografico
Wilfred R. Bion, Esperienze nei gruppi, Armando editore