I processi somatici e l’attenzione al corpo in psicoterapia e nella cura di sè
Gioco di Squadra | Supervisione di gruppo
Aiutare chi aiuta
Forse non ancora abbastanza, ma si estendono sempre più le riflessioni intorno al valore di chi Cura.

In un momento storico come questo ci accorgiamo di quanto sia importante garantire una buona base sociosanitaria di attenzione a quei ruoli professionali che si occupano delle relazioni di cura.
Sono stati ringraziati e valorizzati ‘gli Eroi’ infermieri che, durante la fase critica di massima diffusione del Covid, hanno messo tutte le loro energie a disposizione dei malati e dei loro familiari.
Ci si è forse dimenticati che nel lavoro di Cura è fisiologico rendersi utili e mettersi al servizio di chi chiede aiuto. Molto meno si parla però del bisogno che anche gli operatori hanno di essere accolti, ascoltati, sostenuti, accompagnati sul piano emotivo e relazionale a gestire situazioni complesse e provanti.
Chi si occupa di supervisione sa bene cosa significhi prendersi cura di chi cura.
Creare uno spazio sicuro, una piattaforma di accoglienza rispettosa ma consapevole, protetta e solida, in cui poter portare tutte le proprie emozioni connesse al ruolo professionale in cui operatori sanitari e sociali si trovano quotidianamente, in particolare in periodi di forte stress e pressione.
E’ importante che per primi gli operatori si sentano in diritto di chiedere aiuto. Allo stesso modo è fondamentale che questo diritto venga riconosciuto e sostenuto da chi ne veicola modi e tempi di lavoro, le organizzazioni.
Importante anche lasciare un adeguato spazio e tempo alla cura del benessere di chi cura, affinchè le persone possano svolgere al meglio il proprio lavoro di Cura, senza rischiare di mescolare le proprie emozioni con altre dimensioni di complessità e ostacoli strutturali.
E’ stato uno psicodramma!!!

Espressione comunemente diffusa!
E’ stato uno psicodramma!!!
Per lo più impropriamente.
Si usa dire così di fronte a momenti di plateale scambio dialogico tra persone, verosimilmente qualcosa di molto simile ad una scena teatrale, spesso conflittuale e ad alto volume.
Perchè si tende ad associare i momenti di sfogo libero delle emozioni, in forma teatrale e plateale allo Psicodramma?
Lo Psicodramma è una metodologia terapeutica e di conduzione di gruppi in ambiti molteplici. Specificità dello psicodramma è la concretizzazione scenica, ossia la messa in azione, in uno spazio chiamato Teatro di Psicodramma, di emozioni, parti di mondo interno delle persone, dinamiche relazionali e sfumature emotive ad esse connesse.

Si pensa, impropriamente, che “fare psicodramma” significhi fare una sceneggiata, amplificare in modo libero e indistinto le proprie emozioni, lasciando sfogo incontrollato ai propri impulsi emotivi, nelle relazioni umane.
Paradossalmente è proprio il contrario!
Nello Psicodramma il conduttore, non a caso chiamato Direttore di Psicodramma, veicola e contiene l’espressione delle emozioni organizzandole sulla scena, in modo che la persona possa sì esprimerle liberamente, ma in modo strutturato e funzionale alla consapevolezza e riorganizzazione di esse nel proprio mondo emotivo interno.

Fare Psicodramma, cioè, significa proprio dare forma e orientare emozioni e pensiero, per meglio comprenderle e incanalarle, evitando che esse si esprimano in modo indistinto e incomprensibile per sè e per le persone vicine, con il rischio di essere fraintese e generare conflitti e trasfigurazioni.
In alcuni programmi televisivi le persone sono invitate a lasciar fluire in modo incontrollato le emozioni, generando momenti di grande impatto scenico, che però non hanno nulla in comune con lo Psicodramma. Casomai possono essere più propriamente associate alla Commedia o a forme di Teatro che intendono porprio suscitare sorpresa e generare nel pubblico emozioni di rispecchiamento.

Lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro.
Eduardo De Filippo
Incontro Prezioso
La Bambola Abayomi e l’Incontro con la fiducia in Sé
IAGP Iseo Conference 2019 – Workshop di Psicodramma interiore con le bambole Abayomis ( Maria Cèlia Malaquias, Brasil)

E’ nata tra le mie mani. Da tre semplici fili di stoffa. Ha iniziato a prendere corpo e acquisire gradualmente una sua identità. Ha preso forma tra le mie dita, ha scelto i suoi vestiti e la direzione del suo volto. Poi all’improvviso ha iniziato a guardarmi!
Così per caso, grazie a Maria Cèlia Malaquias, mi sono trovata a conoscere la storia triste e romantica di questa bambola nera. Le madri, durante il viaggio in nave degli schiavi deportati dall’Africa al Brasile, tentavano di alleggerire il peso della schiavitù dei propri figli, staccando pezzi di stoffa dai propri abiti, per farne bambole preziose. Boneca Abayomi significa proprio (parola di origine Yoruba) ‘Incontro Prezioso‘. Rappresentano felicità e gioia. Sono realizzate esclusivamente con nodi.
Il nostro Incontro Prezioso è stato un prendersi cura reciproco, l’una dell’altra con candida semplicità. Io l’ho aiutata a prendere forma e lei mi ha mostrato ciò che di me avrei potuto risvegliare, con un atto di fiducia e paziente serenità.

Appagate e reciprocamente riconosciute ci siamo regalate un amorevole sorriso, prima di aprire lo sguardo all’Altro, colui che incontriamo accanto a noi, per ascoltarne le storie e le emozioni.
Lo Psicodramma è una Metodologia (e non una tecnica, come alcuni pensano) che consente di accedere a contenuti interni attraverso molte strategie o strumenti (come la bambola, il disegno, la fotografia e molto altro) che facilitano i processi di auto-osservazione e identificazione. Ciò accade perchè le strategie relazionali utilizzate, valicano con autentica semplicità alcuni ‘ostacoli’ della nostra coscienza, lasciando libero accesso a contenuti profondi, spesso incapsulati dentro sovrastrutture cognitive o culturali.
L’Incontro con la bambola è stato l’incontro con me stessa, con una parte di me che non avevo considerato o non volevo ascoltare prima, ciò che J.L.Moreno chiama Teatro Interno. Noi siamo esseri multiformi e ricchi di contradditorie verità. Spesso fatichiamo a dare il giusto valore ad ognuna di queste parti, nella difficoltà di integrare conflitti e ambivalenze.
Eppure quando accettiamo di essere Individui complessi si apre una varietà di mondi …di cui non potremo mai più fare a meno!
La poesia di questo Incontro ha rinnovato le intenzioni per i tempi a venire, nel quotidiano lavoro delle relazioni. Adesso siamo pronte per guardare con occhi puliti l’Altro da noi, prima di chiedergli come si chiama.
Anima Migrante | Io e L’Altro
Rassegna Nazionale di Psicodramma e Sociodramma
Patrocinato dall’Ordine Nazionale degli Psicologi

Migranti e migrazione … spostamenti e orientamento…
Alcune parole cambiano significato a seconda del momento storico, acquisendo sfumature differenti. Di questi tempi la parola ‘migrazione’ richiama un senso di ‘invasione’ delle nostre terre da parte di persone che arrivano, con storie ed esperienza differenti. Ci dimentichiamo però che la ‘migrazione’ appartiene a molte specie animali, che migrano nei diversi periodi dell’anno, non per disperazione o per un maggiore sfruttamento delle risorse, ma per istinto o per un senso di adattamento all’ambiente che impone loro di trovare il luogo più adeguato alla sopravvivenza e al mantenimento della specie.
Dimentichiamo a volte di appartenere alla specie animale, anche se la nostra presunta superiorità intellettuale ci porta a credere di essere totalmente artefici delle nostre scelte e intenzioni.
Poter scegliere è un grande lusso, che non tutti possono permettersi.
La migrazione è ciò che accade dentro e fuori da noi, ai nostri corpi in movimento, ma anche alle nostre anime, nel viaggio delle scelte della vita e della nostra storia personale.
Migreremo e ascolteremo le storie dei vostri viaggi…geografici e interiori
Serata di Sociodramma aperta a tutti a offerta libera
Annalisa corbo e Tatiana Sicouri – Psicoterapeute Psicodrammatiste

Incontro con gli studenti dell’Università Cattolica
Testimonianza professionale agli studenti del corso di Psicologia di Comunità sul ruolo e possibilità della figura di Psicologa di Comunità
Lo psicologo di comunità è anche psicologo clinico?
La mia testimonianza al corso di Psicologia di Comunità dell’Università Cattolica è stata una buona occasione per riflettere su alcune tematiche a volte implicite o apparentemente banali.
Da studenti quante volte ci siamo chiesti cosa avremmo fatto da grandi? Purtroppo nella mia carriera di studi non mi è stata posta questa domanda! In effetti nessuno durante gli anni dell’università mi ha veramente offerto l’occasione per riflettere sul mio immaginario futuro…
La psicologia di Comunità in concreto
Con i circa 80 studenti presenti abbiamo fatto emergere sociometricamente le diverse posizioni rispetto all’immaginario sulla figura dello Psicologo Clinico e di Comunità (che nel vecchio ordinamento confluivano nello stesso iter formativo, in realtà). Molti di loro vedono il proprio futuro in uno studio privato di psicoterapia, qualcuno associando ad esso anche attività di stampo ‘sociale‘ o di comunità, altri nettamente orientati in modo terpeutico.

Proprio partendo dalla mia esperienza professionale ho voluto lasciare alcuni spunti su come operativamente ho potuto tradurre il lavoro di Psicologa di comunità, nei quartieri, nei gruppi di lavoro, nei condomini, nelle scuole… in tutte quelle realtà sistemiche in cui ho l’occasione di essere ingaggiata come professionista per facilitare le relazioni e promuovere il benessere delle persone.
Nel corso dell’incontro è divenuto via via più evidente come il contesto sia indubbiamente un aspetto centrale nell’intervento operativo di Comunità, ma allo stesso tempo si può grossolanamente veder confluire tutte le applicazioni del Ruolo professionale di Psicologo di Comunità in uno stesso focus di lavoro, orientato a promuovere il benessere delle persone in modo sistemico-ambientale, attingendo dal Capitale sociale come risorsa e promuovendo reti sociali come strumento di prevenzione e intervento.
Il cosiddetto ‘abitare sociale‘ si rende efficace laddove si attivano processi di partecipazione attiva, sulla base di una auto-efficacia percepita in funzione del contesto specifico e degli obiettivi individuali, contestualmente al proprio gruppo-comunità di appartenenza.

Su questo macro obiettivo possiamo ritenere affini i processi evolutivi di un gruppo artificiale, un gruppo di lavoro per esempio, quanto i processi di un gruppo naturale orientato verso un obiettivo comune…il benessere individuale all’interno della comunità.
Ringrazio
Elena Marta e Daniela Marzana dell’Università cattolica del Sacro Cuore
Rete Nazionale BuonAbitare
https://psicologatatianasicouri.com/buonabitare-benessere-nei-luoghi-di-vita-e-lavoro/
La comunità…una bella famiglia!
Lo confesso … il tema della comunità è diventato il mio pallino!
Cosa vuol dire poi Comunità? Spesso accade che la parola comunità rimandi a qualcosa di chiuso, un luogo di ‘recupero’, di cura, se non di punizione in cui si è obbligati a restare, per aggiustare o rimettere ordine nei propri problemi. Comunemente è spesso intesa così. Può essere, ma può essere anche molto altro.
Io vivo e diffondo l’immagine della comunità come uno spazio aperto, da cui si può entrare e uscire liberamente, in cui accogliere nuove persone e da cui alcuni scelgono di andare via o anche solo allontanarsi per un po’, per esplorare il mondo e poi tornare, con una nuova pelle e nuove esperienze da raccontare.
Questo è per me la comunità a cui scelgo di appartenere, che mi include senza giudizio e silenziosamente mi prende così come sono o mi aiuta a sviluppare nuovi fronti e nuove occasioni di crescita…personale e professionale!
La Comunità che ancora una volta mi ha accolta è quella degli psicodrammatisti…a cui appartengo da un po’ di anni oramai, ma che ogni volta mi ricorda come sia rigenerante sentirsi inclusi e accolti, conosciuti e riconosciuti…abbracciati letteralmente e metaforicamente.

Io qui mi sento a casa, so di poter parlare autenticamente, ma anche di poter tacere. Senza suscitare pregiudizi. E nemmeno aspettative.
Ma non è l’unica per me! Ho la fortuna di avere molte porte aperte e diverse comunità di cui sentirmi parte, in cui poter tenere un filo che mi lega, ma anche mi risveglia, quando dimentico le occasioni che quel gruppo offre e la ricchezza unica che proprio quel gruppo di persone regala. Anche gratuitamente, per la gioia di condividere un tratto di strada, del nostro viaggio personale.

La libertà di poter essere se stessi è in verità un grande privilegio. E troppo spesso dimentichiamo quanto sia prezioso poter sentirsi parte di qualcosa, di un’identità più grande o di un gruppo o di processo, come un viaggio che scorre e noi ne siamo attori e spettatori, veicolo e testimoni.
Un’esperienza di gruppo, in cui poter essere parte di un viaggio – Video: https://www.facebook.com/dr.padova/videos/2227711024213759/
La scuola e la responsabilità individuale dei futuri cittadini
Come cucinare una buona ricetta?
La scuola è il primo vero grande contesto in cui l’individuo si sperimenta come essere individuato, in una dimensione comunitaria di persone con ruoli e gerarchie differenti.
I vari ruoli sociali agenti nella comunità-scuola hanno a loro volta aspettative implicite ed esplicite sugli altri attori convolti nel processo educativo…e culturale.
Ecco un’ipotesi di rappresentazione sociometrica delle reciproche aspettative implicite:
Emerge qui la non corrispondenza tra le diverse aspettative, dovuta ad una comunicazione talvolta parziale sul piano educativo, oltre che didattico. Molte scuole consolidano il rapporto famiglie-scuola-alunni con il Patto Formativo, firmato a tre mani ad inizio d’anno, ma sappiamo che si tratta di un accordo unidirezionale, in cui non è stato possibile esplicitare in modo circolare aspettative e vincoli, dando uguale spazio di parola e pensiero a tutti gli ‘attori’ in gioco.
Nella nostra società, pregna di comunicazioni trasversali e complesse, tutti gli attori hanno teoricamente pari diritto e spazio di parola, alimentando attraverso i media-social dinamiche in cui può accadere di rimbalzarsi reciproche responsabilità e ‘funzioni’ di ruolo. Ne consegue che si perde di vista il ‘chi fa cosa’?
Allora ecco perchè parlare di responsabilità oggi?
Perchè le modalità comunicative e organizzative del tempo attuale consentono di svicolare in modo semplice e naturale dalle responsabilità individuali per una serie di ragioni.
In parte perchè il mondo social veicola modalità anonime quanto egocentriche di esaltazione della soggettività, ma senza troppo implicare le persone/cittadini in un reale sforzo di azioni significative per la collettività, responsabili e riconoscibili ai fini di un’evoluzione culturale della Comunità di appartenenza.
In parte perchè ci stiamo facilmente abituando ad una modalità soft di partecipazione all’esperienza reale, in cui è sufficiente cliccare “partecipo” per darci l’illusione di essere realmente parte di un avvenimento, così come è facile decidere di non partecipare ad un impegno preso, in virtù di una percezione della propria presenza come accessoria, non fondamentale, ulteriore a quella di molti altri, altrettanto anonimamente non essenziali.
Sto ovviamente estremizzando…ma neanche tanto!
Accade così che i luoghi che da sempre detenevano un ruolo centrale nella formazione dell’individuo, ai fini di un sempre crescente coinvolgimento del futuro adulto nel processo trasformativo dei luoghi di vita e lavoro, perde spessore e accompagna quel senso di transitorietà delle persone nei luoghi importanti dell’esistenza, tra cui la scuola.
E proprio come gli studenti non avvertono il potere culturale della scuola, come luogo di crescita formativa personale, prima ancora che come luogo di sviluppo di competenze tecniche ad uso del futuro ‘lavoratore’, ugualmente gli insegnanti si sentono ‘depotenziati’ nel valore scientifico e culturale che dovrebbero o potrebbero trasmettere ai giovani alberelli ancora acerbi.
Più che mai al tempo attuale di transitorietà delle esperienze, in luoghi molto spesso fruibili con ‘modalità leggere’ di appartenenza e partecipazione, la scuola detiene un ruolo centrale come agente educante sul piano non solo didattico e culturale, ma anchee soprattutto sociale e umano, perchè proprio dentro la scuola si giocano e si agiscono i meccanismi relazionali che preparano i futuri cittadini ad una visione del mondo poliedrica e multiculturale, che ci piaccia o no, portatrice di saperi complessi e integrati.
Agli insegnanti l’arduo compito di mescolare gli ingredienti saporiti e coraggiosi di questa preziosa ricetta!
Cosa vuol dire CRESCERE ?
OPEN DAY 26 settembre
GRUPPI TERAPEUTICI E PSICOPEDAGOGICI
per bambin@ e ragazz@ da 8 a 16 anni
Come vogliamo accompagnare i nostri figli nel percorso di crescita?
Cosa ci immaginiamo possa essere il meglio per loro?
Che cosa significa BENESSERE per bambini o ragazzi in crescita?
Che tipo di esperienze desideriamo per loro, affinchè crescano con consapevolezza e capacità di fare delle scelte?
Come genitori, le scelte da fare durante il percorso di crescita di un figlio/a sono molte, alcune immediate, altre più complesse. Talvolta sono loro a chiedere di fare un’esperienza, altre volte siamo noi ad osare, proponendo loro qualcosa che non sceglierebbero, perchè sconosciuto o perchè apparentemente troppo distante dalla propria esperienza quotidiana.
A noi genitori tocca il difficile compito di osare, di azzardare, spingedoli verso un’esperienza nuova, sconosciuta, che può aprire loro le porte di nuove letture del mondo e messa in gioco di sé.
Alcune esperienze passano attraverso canali di esplorazione che toccano tutte le sfere della persona, corpo e mente, emozioni e pensiero, relazione e separazione, parola e azione, gruppo e individualità.
Quello che proponiamo, nell’esperienza di gruppo, è una parentesi di gioco-esplorazione, che passa attraverso tutte queste sfere della vita ed esperienza umana, in modo rispettoso delle differenze individuali, con un po’ di leggerezza, ma anche di profondità.
I GRUPPI TERAPEUTICI E PSICOPEDAGOGICI sono rivolti a bambin@ e ragazz@ da 8 a 16 anni, in gruppi adeguati all’età, e hanno l’obiettivo di accompagnarli durante tutto l’anno, nello scorrere delle esperienze e degli umori che vivono passo dopo passo…
Si svolgono con cadenza quindicinale da Mercoledì 3 Ottobre
→ Gruppo 12-15 anni ore 16.15-17.15
→ Gruppo 8-11 anni ore 17.30-18.30
Info:
tatianasicouri@gmail.com | 3478938317
associazionepuntouno@gmail.com |02 37072105
Bullismo…che brutta storia!
Il bullismo: un fenomeno da conoscere
Il bullismo è uno degli argomenti sulla bocca di tutti. Se ne parla, fa paura, si tocca con mano quando i nostri figli o qualcuno a noi vicino vive un’esperienza diretta…sulla propria pelle.
In genere siamo portati ad immaginare che le persone toccate dal bullismo abbiano caratteristiche particolari, riconoscibili, siano essi le vittime o i ‘bulli’.
In verità, potrebbe stupire molte persone sapere che può capitare a chiunque. I ragazzi, sempre più spesso anche i bambini, vittime di bullismo non hanno nessun segno distintivo, nessuna caratteristica riconoscibile che lasci pensare ad un predestinato. Sono semplicemente diventati oggetto di attacchi da parte di un gruppo, di cui il ‘bullo’ diventa il leader. Non ci sono spesso ragioni specifiche, se non il fatto che in genere la vittima di bullismo è più facilmente isolabile o isolata, dunque più fragile o attaccabile.
Quali sono le caratteristiche del bullo? Dipende. Non è vero, come spesso si crede, che a ‘giocare la parte del bullo’ siano ragazzi provenienti da ambienti di scarsa cultura e disagio socioeconomico. Molto frequentemente, anzi, i bulli provengono anche da famiglie agiate e cosiddette ‘per bene‘.
Cosa spinge allora un ragazzo a trasformarsi in carnefice persecutore nei confronti di un compagno fragile, timido o isolato?
Le ragioni, naturalmente, non possono essere elencate in modo meccanico e universale, ma occorre approfondire ogni singola storia personale e familiare, ma anche il contesto sociale e ambientale in cui si verificano i fenomeni di bullismo:
- come si pone la scuola, la classe, gli insegnanti?
- come si pongono le famiglie non coinvolte direttamente di fronte agli eventi?
- quanta conoscenza c’è del fenomeno e quali fantasie hanno i genitori sui propri figli?
- di quali strumenti dispongono i genitori per affrontare le condotte dei figli?
- che tipo di comunicazione si coltiva in famiglia?
- che ruolo gioca il gruppo dei pari? chi approva o disapprova i comportamenti aggressivi e persecutori del bullo?
Come si può intendere non è possibile affrontare e risolvere un fenomeno così complesso e sfaccettato in poche parole e in modo univoco, ma ogni situazione va considerata nella sua specificità, ponendo allo stesso tempo grande attenzione al lato personale e alla dimensione sociale come contesto di vita.
PER APPROFONDIRE QUESTO TEMA VI ASPETTIAMO
Martedì 29 Maggio Ore 18.30
Studio Professionale Baroncini | via Val di Sole 22, Milano
INFO E PRENOTAZIONI
Tel. 331/3324133 oppure Mail a aldo.baroncini@tin.it
Per approfondire l’argomento
La giusta distanza
Un gruppo di Crescita Personale
Così si è concluso stasera un ciclo di incontri di Crescita Personale per un gruppo a termine.
Per le persone che hanno partecipato è stato un piccolo viaggio, in cui insieme hanno potuto generosamente ascoltare ed essere ascoltati.
Nonostante un tempo breve di condivisione, di pochi incontri, c’è stato il tempo e l’intensità per poter aprire le porte sulle stanze più intime delle persone, secondo la disponibilità emotiva e relazionale di ognuno.
Abbiamo aperto i nostri sguardi rispettosi sulle emozioni di ognuno, sulle difficoltà, le relazioni per loro importanti, i desideri, i blocchi, le aspettative, i bisogni… Il rispetto di tutti, come sempre, ha consentito una grande delicatezza nell’accogliere le differenze e le specifiche individualità…così come anche le risorse propositive ed assertive che per qualcuno sono un obiettivo, ma mutuate da altri , possono diventare un modello per sè, di nuove possibilità di relazione con gli altri e di vita.

Le parole con cui ci siamo salutati sono state autenticità e gratitudine.

Ogni persona è stata autentica nel suo modo di partecipare, ma anche di non partecipare. L’autenticità ha offerto a tutti la possibilità di esserci e mettersi in gioco, ma anche di essere spettatori e rimanere ai margini. La spontaenità e il profondo rispetto reciproco ha consentito ad ognuno di ascoltare se stesso, mentre viveva un’esperienza significativa da un punto di vista emotivo e di crescita per sè.
Semplicemente, ancora una volta, si rivela il potenziale terapeutico e trasformativo del gruppo nelle sue funzioni relazionali e di rispecchiamento, attraverso cui le persone possono ritrovare sè stesse negli occhi dell’altro e riconoscere meglio le proprie caratteristiche, guardando autenticamente l’Altro come specchio di sé.