Testimonianza professionale agli studenti del corso di Psicologia di Comunità sul ruolo e possibilità della figura di Psicologa di Comunità
Lo psicologo di comunità è anche psicologo clinico?
La mia testimonianza al corso di Psicologia di Comunità dell’Università Cattolica è stata una buona occasione per riflettere su alcune tematiche a volte implicite o apparentemente banali.
Da studenti quante volte ci siamo chiesti cosa avremmo fatto da grandi? Purtroppo nella mia carriera di studi non mi è stata posta questa domanda! In effetti nessuno durante gli anni dell’università mi ha veramente offerto l’occasione per riflettere sul mio immaginario futuro…
La psicologia di Comunità in concreto
Con i circa 80 studenti presenti abbiamo fatto emergere sociometricamente le diverse posizioni rispetto all’immaginario sulla figura dello Psicologo Clinico e di Comunità (che nel vecchio ordinamento confluivano nello stesso iter formativo, in realtà). Molti di loro vedono il proprio futuro in uno studio privato di psicoterapia, qualcuno associando ad esso anche attività di stampo ‘sociale‘ o di comunità, altri nettamente orientati in modo terpeutico.

Proprio partendo dalla mia esperienza professionale ho voluto lasciare alcuni spunti su come operativamente ho potuto tradurre il lavoro di Psicologa di comunità, nei quartieri, nei gruppi di lavoro, nei condomini, nelle scuole… in tutte quelle realtà sistemiche in cui ho l’occasione di essere ingaggiata come professionista per facilitare le relazioni e promuovere il benessere delle persone.
Nel corso dell’incontro è divenuto via via più evidente come il contesto sia indubbiamente un aspetto centrale nell’intervento operativo di Comunità, ma allo stesso tempo si può grossolanamente veder confluire tutte le applicazioni del Ruolo professionale di Psicologo di Comunità in uno stesso focus di lavoro, orientato a promuovere il benessere delle persone in modo sistemico-ambientale, attingendo dal Capitale sociale come risorsa e promuovendo reti sociali come strumento di prevenzione e intervento.
Il cosiddetto ‘abitare sociale‘ si rende efficace laddove si attivano processi di partecipazione attiva, sulla base di una auto-efficacia percepita in funzione del contesto specifico e degli obiettivi individuali, contestualmente al proprio gruppo-comunità di appartenenza.

Su questo macro obiettivo possiamo ritenere affini i processi evolutivi di un gruppo artificiale, un gruppo di lavoro per esempio, quanto i processi di un gruppo naturale orientato verso un obiettivo comune…il benessere individuale all’interno della comunità.
Ringrazio
Elena Marta e Daniela Marzana dell’Università cattolica del Sacro Cuore
Rete Nazionale BuonAbitare
https://psicologatatianasicouri.com/buonabitare-benessere-nei-luoghi-di-vita-e-lavoro/